Edilizia scolastica a Milano

Citare il piano Marshall (che fu un piano di misure straordinarie di investimenti) come strumento di soluzione quando a Milano si parla di Edilizia scolastica, significa non avere ancora compreso quale sia il nocciolo della questione.
Parlare di edilizia scolastica, a Milano, significa innanzitutto parlare di numeri.
Di grandi numeri...
Dopo Milano e Brescia, le 500 scuole di Milano di competenza comunale (dai nidi alle secondarie di primo grado) abitate quotidianamente da oltre 125.000 persone rappresentano, come numero di abitanti, la terza città della Lombardia.
Gli oltre 3 milioni di mq di slp delle nostre strutture scolastiche, si traducono non solo in più di 1 mln di mq di superficie di coperture, ma si traducono anche in un gigantesco numero di pluviali e di grondaie, di bagni e di aule, di pannelli di controsoffitti, porte, maniglie e infissi....
Si traducono in una gigantesca quantità di interventi, programmati o a guasto, per la cui risposta occorre poter disporre di appalti, necessariamente sopra soglia europea: che se per gli addetti ai lavori rappresentano soprattutto un incubo procedurale, dall'utente finale sono vissuti come una mancata attenzione alla "mia" segnalazione.
Vengono percepiti come una lentezza a risolvere il "mio" bisogno, che in una città come Milano assume lo spettro di una "inspiegabile inefficienza".
Si traducono in una necessità di interventi in manutenzione ordinaria, che nel bilancio comunale non vanno a incidere sul capitolo degli investimenti, ma vanno a incidere sulla spesa corrente: quel capitolo di spesa che non solo deve poter garantire ogni anno oltre alle manutenzioni ordinarie (di scuole, edifici pubblici, case erp, strade e verde pubblico) anche tutti i servizi della città, con il costante aumento della richiesta affiancato dal costante aumento di agevolazioni proposte dalla politica e richieste dall'utente, ma che ogni anno si trova a dover far quadrare i conti con le reali disponibilità di cassa.
Non serve il mail bombing per ottenere un intervento, e non serve neanche scrivere ai giornali, al Sindaco o al Prefetto, così come non serve chiamare i VVFF pensando che questo, in qualche modo, aiuti ad accelerare la risoluzione alla mia segnalazione.
Non è una gara a chi urla più forte.
Riuscire a guardare a 360 gradi la città, a capire che oltre la mia scuola ci sono altre 499 scuole, che oltre il mio municipio ce ne sono altri 8, e che magari il bisogno dell'altro è superiore al mio, questo si che potrebbe aiutare.
Potrebbe aiutare a riportare una questione che è all'attenzione di tutti e che non ha colore politico, nella giusta prospettiva.
Una questione che ha un nome e un cognome: si chiama "D.Lgs. 50/2016: codice degli appalti pubblici".
Un codice ricco di paletti, regole e procedure, che si sono rese necessarie nel nostro Stato per tentare di arginare la "cattiva" usanza di troppe imprese (private) di fare un utilizzo improprio degli appalti pubblici.
Che rende, in un Comune che ha i numeri come quelli della città di Milano, l'aggiudicazione di ogni gara di appalto una impresa titanica, così come l'esecuzione di ogni intervento, sia di manutenzione ordinaria che straordinaria, un percorso a ostacoli.
Che obbliga a tempistiche estenuanti per riuscire a vedere trasformato l'investimento in opera.
Un codice che, nella sua attuale formulazione, forse ci saremmo potuti anche evitare, se si fosse registrato un maggior rigore etico da parte del privato che partecipa alle gare di appalti pubblici.